Newsletter Futura - Il dilemma dei sogni | Corriere.it

2023-02-22 18:22:19 By : Mr. kelvin meng

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notturno La benedizione degli incubiAlice Avallone

diurno I miraggi di ChangaZarifa Ghafari

Se volete davvero capire che cosa è un sogno, a Milano, fino al 26 febbraio, c'è una bella mostra su Max Ernst a Palazzo Reale. Non c'è logica nel Surrealismo e vedere quei dipinti con gli occhi di chi vuole spiegare tutto non ha senso. È piuttosto l'occasione per rispolverare una parte «antica» di noi, che è quella onirica, intuitiva, sensoriale. Sepolta sotto strati e strati di misurazioni, tracciamento, sperimentazione scientifica. Andateci, se potete e diteci che cosa ne pensate: Davide (dacasati@rcs.it), Renato (rbenedetto@rcs.it), Andrea Federica (andreaf.decesco@gmail.com) e Roberta (rscorranese@rcs.it).

Il completamento automatico di Google funziona così: inizio a digitare qualcosa, e via via appaiono delle previsioni che si basano sulle query più comuni e di tendenza, in quel momento e nei miei dintorni. Significa che se adesso da Torino inizio a scrivere sul motore di ricerca «Sognare», mi appare come primo risultato possibile «che il freno a mano non funziona», seguito da «un morto come se fosse vivo». Ieri, alla stessa ora, apparivano invece sogni di topi, serpenti, denti che cadono, water pieni di carta igienica. Provate: iniziate a digitare su Google «Sognare di essere», e vi si spalancherà un mondo. Ma c'è uno strumento ancora più preciso per ascoltare il battito della Rete, e si chiama Google Trends. Ogni ricerca, dal 2004 a oggi, finisce qui. Possiamo mappare e decifrare perché, ad esempio, nell'estate 2008 si è registrato un picco di persone alle prese con incubi su aerei che cadono; con tutta probabilità colpa del volo Spanair 5022 che si schianta dopo il decollo dall'aeroporto di Barajas a Madrid provocando 153 e 18 i superstiti. E ancora, possiamo cercare correlazioni tra la Liguria e i sogni sui ragni nell'ultimo anno. In Basilicata si hanno più incubi sui serpenti, in Lombardia sui pipistrelli. Ho sognato che mi rubavano la macchina, mi sparavano, mi tagliavano i capelli. Gli scenari futuri dei sogni che ricordiamo sono perlopiù un allenamento distopico capace di prepararci a una versione migliore di noi, più pronta. Anche la letteratura scientifica negli ultimi anni colleziona pagine su pagine a sostegno di questa tesi: i sogni ci mettono alla prova con una simulazione terrificante notturna per sgretolare l'ansia diurna. Che cosa ho provato su un volo in caduta libera? Guardavo dal finestrino, mi sono messa a urlare? Sono riuscita a mettermi in salvo, e se sì, in che modo? Fare incubi è come prendere un posto in prima fila come spettatori della nostra vita parallela. Fare incubi è una benedizione. E invece è tutto un proliferare online di miracolose terapie per non farne più. Addirittura, su WikiHow ci sono istruzioni in 14 mosse, dove appare a un certo punto anche un «evita di mangiare prima di dormire». Quando ci risvegliamo di notte in preda al tormento della scena appena vissuta, dovremmo imparare a esserne grati. E perché no, approfittarne per andare a frugare nel frigo. Secondo le antiche credenze mitologiche, l'incubo è una creatura malefica che opprime il sonno delle persone. Ecco perché riferiamo al risveglio una sensazione di angoscia, di soffocamento, a volte di blocco del corpo. E se questo demone fosse la nostra zona d'ombra? Se fosse la parte di noi che decide di farci perdere il controllo? Negli incubi siamo passivi, non possiamo controllare niente, questo non ci va giù. Vi pare che io, in piena notte, debba trovarmi faccia a faccia con un estraneo in casa? Io che ho scelto di avere un sistema antifurto che nemmeno a Fort Knox. Quando il sonno inizia, non c'è protezione che tenga. Non abbiamo scelta, è come scegliere «Sorprendimi» su Netflix. Forse, possiamo giusto avere la speranza che i nostri incubi abbiano a che fare con qualcosa che abbiamo sentito o visto da svegli, ecco tutto. Ho questa immagine di mia figlia, venti mesi, che chiude gli occhi e corre con le braccia tese verso l'educatrice. La chiamo «La cieca di Sorrento», omaggio al film di Nunzio Malasomma del 1934. Lo fa in quelle mattine che le prende l'ansia di entrare in classe. In effetti, davanti a una scena di un film dell'orrore, o sulle montagne russe, chiudiamo istintivamente gli occhi. Allora, non posso che pensare a questo: solo nello spazio della notte, possiamo affrontare certe cose. Cadere nel vuoto, essere nudi per strada, vedere il proprio funerale. Ogni notte, ci consegniamo, a braccia tese e a occhi chiusi, a una serie di futuri. Alcuni possibili, altri del tutto assurdi.

Febbraio 2022 Changa, provincia di Vardak. Gli uomini volevano sapere tutto della Germania. Dopo che i più giovani ebbero portato via i piatti di riso e carne e le ciotole mezze vuote di budino, piegando le tovagliette di plastica arancione per raccoglierci dentro le briciole e le bustine di zucchero, gli occhi degli adulti si fissarono su di me e, mentre sorseggiavano il tè, si disposero ad ascoltarmi con attenzione. Presi fiato, mi sistemai il velo sulla testa, e cominciai parlando delle patenti. «Bisogna fare ore di lezione!» dissi. «E poi sostenere un esame.» Si scambiarono un'occhiata sorpresa. Nessuno di loro si era mai sottoposto a una valutazione delle proprie capacità di guida prima di mettersi al volante. Continuai. «E se infrangi le regole troppe volte, ti ritirano la patente!» Con questo li avevo davvero scioccati. La Germania era la terra della libertà, no? Come potevano negare a un uomo il diritto alla guida? E non ero nemmeno arrivata alle cose importanti: il prezzo sbalorditivo delle patate al supermercato, per esempio, o i soldi che lo Stato tratteneva direttamente dalla tua busta paga. Sarebbe stata una notizia sconcertante per loro, chissà, forse non ci avrebbero neppure creduto. Lì a Changa, un remoto villaggio a quasi cento chilometri e otto ore di macchina da Kabul, su strade di montagna sterrate, si dava per scontato che chiunque fosse riuscito ad arrivare in Europa vivesse nel lusso. E invece eccomi lì, una giovane donna afghana nel ruolo di emissaria da una terra promessa, a informarli che si sbagliavano del tutto. Non potevo biasimarli. Non avevano molto, a parte la speranza. Changa era un agglomerato di capanne di fango, senza acqua corrente né elettricità. Per trovare il segnale telefonico bisognava arrampicarsi più in alto sulla montagna. Il bagno era una capanna sul fianco di una collina. La scuola era una madrasa con un'aula per i maschi, con le copie del Corano e di altre opere religiose impilate lungo le pareti accanto a enormi mucchi di stuoie da preghiera, e un'altra aula nel cortile esposta alle intemperie. Lì era dove facevano lezione le ragazze, sedute per terra a gambe incrociate. A febbraio, quando la neve si scioglieva, il terreno si trasformava in fango. Non ci avrei tenuto nemmeno un animale. Per gli uomini, l'imminente arrivo della primavera preannunciava mesi piacevoli, in cui anche chi era convinto che la Germania fosse la terra delle Audi per tutti, affermava con orgoglio che preferiva restare nel suo villaggio. In primavera la neve scivola giù dalle montagne, rivelando uno strato di erba verde smeraldo e nuove foglie sui rami spogli dei meli. Il sole sorge un po' prima e scalda più in profondità la terra ogni giorno che passa. Nel giro di poche settimane la natura sarebbe sbocciata in un baldacchino profumato e gli uomini avrebbero cominciato ad avventurarsi nel fiume a fondovalle, in pantaloncini e maglietta, a spruzzarsi l'acqua addosso tra grida gioiose. Le donne no. A Changa, quasi tutte quelle che avevano più di quattordici anni erano sposate. Non avevano tempo per giocare. (…) Questo testo è un estratto dal memoir «Zarifa», di Zarifa Ghafari (Solferino editore)